Adrian zaristi sul Piave
di Giovanni Cecini
Tra le inderogabili necessità poste dalla Grande Guerra vi fu anche quella di rifornire i soldati dei vari eserciti belligeranti di copricapi metallici. L’esigenza nasceva non tanto con l’obiettivo di ostruire i colpi di fucileria diretti alla testa – finalità di fatto impraticabile – ma piuttosto dalla valutazione che molto più di questi ultimi, le pallette degli shrapnel, le schegge di granate o i frammenti di roccia potessero essere letali per i soldati.
Nacquero così varie soluzioni e modelli: il primo di questi, che ebbe un certo seguito, fu l’elmetto Adrian, sperimentato e adottato a partire dal 1915 dall’Esercito francese. L’economicità e la semplicità di realizzazione furono caratteristiche, che resero la sua livrea particolarmente famosa, tanto che (con alcune modifiche) esso contraddistinse non solo le Forze armate francesi in entrambi i conflitti mondiali, ma anche un elevato numero di Paesi sin addirittura fin oltre il 1945.
Anche l’Italia – alleata della Francia e con essa in stretti rapporti economico-industriali – adottò il modello transalpino, dopo aver abbandonato l’idea di produrre in scala un originale modello nazionale. In questo modo, a partire dall’autunno 1915 iniziarono le importazioni dei medesimi esemplari, destinati all’Armée, addirittura ancora con il monogramma della République Française.
Solo all’inizio del 1916 iniziarono invece delle apposite commesse, prodotte dalle ditte francesi senza il proprio fregio nazionale e senza i relativi due forellini per applicarlo. Questa soluzione fu adottata per il semplice fatto che le Forze armate italiane non avevano previsto dei fregi metallici, rendendo la foratura non solo inutile, ma anche foriera di minore resistenza balistica.
Nonostante questa lieve differenza, gli esemplari destinati sin dalla produzione all’Italia erano ancora composti da quattro parti metalliche (calotta, crestino, visiera e paranuca), oltre all’imbottitura interna di cuoio e lamierino. Tuttavia, le restrizioni industriali e le esigenze interne della realtà francese comportarono anche per il sistema produttivo italiano di provvedere in proprio a una produzione domestica. Così, dopo il modello 1915 e quello di transizione (identificabile come 1915-16), dalle presse delle ditte milanesi Giuseppe Moneta e Società anonima Smalteria italiana iniziò a essere realizzato il cosiddetto modello 1916. Rispetto alle due versioni precedenti transalpine, mantenendo a livello complessivo la forma dell’Adrian, il 1916 era composto solo di due parti metalliche: il crestino e la calotta d’un solo pezzo. Nell’intento dei produttori italiani questa variazione avrebbe garantito una maggiore stabilità all’elmetto; tuttavia, se tecnicamente venne raggiunta una maggiore forza di resistenza, in realtà la composizione più scadente degli acciai italiani non offriva migliori risultati in tenuta balistica.
A quel punto, nonostante la produzione nazionale alla fine raggiunse poco meno di tre milioni di pezzi prodotti, i precedenti modelli francesi continuarono ad essere impiegati, trovando una certa promiscuità di distribuzione, anche nei medesimi reparti mobilitati.
La situazione cambiò ancora nell’ultimo anno di guerra. Nel corso dell’autunno del 1917 infatti si susseguirono due fatti sconvolgenti nell’economia dello schieramento dell’Intesa: la progressiva defezione bellica della Russia e il pesante arretramento italiano, dovuto alla rotta di Caporetto. Proprio questi due avvenimenti comportarono un interessante retroscena per la storia degli elmetti nazionali. Negli ultimi mesi dell’anno la produzione francese si trovò di fronte al diniego bolscevico di ulteriori approvvigionamenti di Adrian, mentre l’Italia aveva assoluto bisogno di forniture aggiuntive, viste le perdite subite durante la ritirata dall’Isonzo verso il Piave. É così che non si trovò migliore soluzione che rifornire il Regio Esercito con una partita di elmetti francesi modello 1915 di colore marrone con le insegne zariste. Di questo utilizzo, fino ad ora, se ne avevano solo alcune vaghe citazioni*, non potendo contare su documentazione o materiale incontrovertibile. Tuttavia, proprio in occasione del centenario della Grande Guerra è stato esposto presso il Museo di storia militare di Vienna un raro elmetto russo, sopra il cui fregio metallico è presente a vernice nera l’insegna del 77° reggimento di fanteria, divisione Toscana. Ecco quindi la conferma che dopo il modello 1915, quello transizionale, che abbiamo chiamato 1915-16, e quello prodotto a partire dal 1916 dalle due ditte milanesi, le Forze armate nazionali utilizzarono una quarta versione del primordiale Adrian: quello russo italianizzato.
Elmetto Adrian esposto presso il Museo di storia militare di Vienna.
Probabilmente un altro Adrian di questa ultima fornitura francese (collezione Vittorio Scuncio).
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*AA.VV., Les casques de combat du monde entier de 1915 à nos jours, tome 1, Charles-Lavauzelle, Paris-Limoges 1984, pp. 137-138; A. Viotti, Uniformi e distintivi dell’Esercito italiano fra le due guerre 1918-1935, USSME, Roma 2009, tomo I, p. 17.